Tra le prime piante coltivate dall’uomo a scopo alimentare ci sono sicuramente i cereali. Con il passare dei secoli, l’uomo ha selezionato le varietà a lui più convenienti, inducendo una pressione selettiva che ha determinato i vari cambiamenti che queste piante hanno subito. In particolare, parliamo di piante annuali appartenenti alla famiglia delle Graminacee.
Hanno un importante significato per l’alimentazione umana in virtù del loro elevato contenuto in amido e basso di lipidi. Le proteine sono contenute in quantità limitate e non offrono un contenuto amminoacidico completo (sono carenti in particolar modo di lisina), e gli aminoacidi contenuti non sono facilmente biodisponibili poiché sono strutturalmente legate alla cellulosa. Sebbene siano importanti alimenti che forniscono energia, devono essere integrati con fonti proteiche più complete.
Il frumento (o grano) è il cereale più coltivato e consumato in Italia. Appartiene al genere Triticum che a sua volta si suddivide in tre gruppi. Le specie più coltivate in Italia sono il grano duro (prevalentemente al sud) e il grano tenero (prevalentemente al centro-nord). Da un punto di vista bromatologico le differenze sono minime, l’unica differenza minimamente significativa è il contenuto proteico che è lievemente superiore nella specie grano duro. Ciò che cambia in modo sostanziale è il prodotto della loro macinazione: dal grano duro si ottiene una semola con granuli più grossi e destinati principalmente alla produzione delle paste; dal grano tenero, invece, si ottiene una farina con granuli più piccoli e più bianchi, dalla cui lavorazione si produce il pane.
Dai cereali si raccoglie il cariosside, quello che comunemente viene detto “chicco”. Questo è composto esternamente da un involucro esterno detto pericarpo costituito prevalentemente da cellulosa e contenente sali minerali. La parte interna è detta endosperma, ed è la porzione che contiene proteine, vitamine e sali minerali. Al centro di questa struttura troviamo un nucleo costituito dai granuli di amido. Ogni cereale è caratterizzato da differenze quantitative e qualitative che interessano questi granuli amidacei. All’interno del pericarpo, ma distaccato dell’endosperma troviamo il germe. In questa sotto-struttura si depositano le sostanze nutritive necessarie alla maturazione del chicco e, in particolare presenta un contenuto in proteine e lipidi maggiori.
Da un punto di vista chimico, la composizione del chicco può essere influenzata da diversi fattori, tra cui la specie di appartenenza, il terreno, il clima e i trattamenti a cui la pianta è stata sottoposta. Il contenuto in glucidi raggiunge mediamente il 70-72% del peso del chicco, ed è rappresentato da 60-70% da amido. Durante la conservazione del grano, prima, e della farina poi, gli enzimi presenti idrolizzano (“tagliano”) l’amido formando zuccheri più semplici, una condizione necessaria per la lievitazione dell’impasto panario. La cellulosa e la lignina rappresentano il 2-2,5% del peso del chicco, si ritrovano nel pericarpo e vengono allontanate dalla farine durante la fase di abburattamento. Le proteine ammontano in media al 12%. Circa il 75-95% delle proteine è data da prolammine gliadine, e da glutenine. Queste proteine assumono una notevole importanza da un punto di vista produttivo, in quanto presentano buone attitudini alla panificazione. Infatti, gliadine e glutenine, a contatto con l’acqua, formano il glutine, una sostanza che conferisce alla pasta del pane viscosità, elasticità e coesione.
Per quanto riguardo invece i micronutrienti, i sali minerali più rappresentanti sono il magnesio e il potassio, situati nella parte esterna del chicco (il pericarpo). Tra le vitamine, le più rappresentate sono quelle del gruppo B e la vitamina E, presente solo nel germe.
Una menzione particolare, la merita l’acido fitico che è contenuto nell’embrione nella parte più esterna del cariosside. La sua presenza, merita menzione, perché impedisce l’assorbimento dei minerali (calcio, magnesio, ferro e zinco) formando con essi strutture che ne limitano l’assorbimento intestinale. Una piccola anticipazione: le farine integrali contengono quantità superiori di questo acido, mentre nella farine più raffinate viene maggiormente escluso. Oltre all’acido fitico, sono presenti anche altri fattori definiti anti-nutrizionali (impediscono l’assorbimento di alcuni nutrienti).
Dopo questa lunga descrizione delle caratteristiche del grano, iniziamo ad approfondire la sua molitura. Tra le varie farine che possiamo trovare in commercio di grano tenero (Triticum aestivum) le principali sono la farina di tipo 00, 0,1 e 2. Queste farine differiscono fra loro per il grado di lavorazione, la percentuale di fibra contenuta e la quantità di proteine.
Ad oggi, il metodo più usato è la macinazione a cilindri o alta macinazione. Le fasi del processo prevedono:
Pulitura preliminare à Condizionamento à Pulitura definitiva à Macinazione e abburattamento
La pulitura, come suggerisce il nome, è finalizzata all’eliminazione di pietre, paglia ecc. La fase successiva, detta di condizionamento, è una fase preliminare utile per migliorare la macinazione e per aumentare la forza del glutine (il preparato viene umidificato e posto a freddo). Si giunge così alla macinazione: i chicchi pre-trattati vengono fatti passare attraverso coppie di cilindri ruotanti. I chicchi passano diverse fasi di macinazione alternate a fasi di setacci. Attraverso questo processo vengono ricavati sfarinati costituiti prevalentemente dall’endosperma della cariosside e scarti (parte della crusca per un massimo di circa 22-25%). Infine, l’ultimo processo a cui vengono sottoposte le farine è l’abburattamento. Con questo termine si intende la quantità di farina (in kg) che si ricava dalla macinazione di 100kg di grano. Più questo valore è elevato, maggiore è il contenuto in crusca della farina stessa. Le farine con il minor tasso di abburattamento sono quindi quelle più raffinate. Questa metodica produttiva è studiata appositamente per la produzione di farine bianche. La farina di tipo 00 (la farina bianca) è ottenuta dalla macinazione e conseguente abburattamento del grano tenero. L’abburattamento è un processo che permette la separazione della crusca (o parte esterna del chicco) dal grano. La 00 è la farina più raffinata (raffinata non è il termine tecnicamente corretto, ma quello comunemente usato) e perdendo l’involucro esterno e il germe, si perdono anche i nutrienti in esso contenuti: sali minerali, fibra e vitamine. Nel tipo 0, invece, essendo meno raffinata permane una piccola percentuale di crusca.
Se vogliamo ottenere una farina integrale con questo processo produttivo abbiamo diverse possibilità: possiamo “ ricostituire l’integrale” rimettendo nella farina di tipo 0 la crusca e il germe (quelli parti che venivano escluse durante la produzione). Questa strategia è quella più adottata dai produttori.
Un altro metodo ancora utilizzato, e che veniva impiegato prima di questo sviluppo tecnologico è la macinazione a pietra, che ad oggi sta tornando di moda spinta da una presunta maggiore qualità e salubrità (marketing?). Nella macinazione a pietra si esegue una macinazione vera e propria, e i chicchi sono schiacciati tra le mole in pietra , ottenendo in tal modo un farina integrale con la parte di crusca e con una granulometria abbastanza fine e più omogenea.
E’ comprensibile che a prescindere di come venga ottenuta la farine integrale (vedasi i due metodi appena descritti) si ottenga la stessa cosa. Da un punto di vista nutrizionale le differenze sono minime e non significative. Sul versante tecnologico, ovvero sulle possibilità di impiego dei due prodotti per la produzione di derivati, ci sono differenze: la farina macinata a pietra non ha le performance di quella ottenuta con i cilindri. Infatti, assorbe meno acqua e lievita con più lentezza. Ciò avviene perché i granuli di amido non sono sufficientemente esposti alle amilasi (degli enzimi che tagliano l’amido in glucosio che viene poi utilizzato dai microrganismi che innescano la lievitazione). Di conseguenza, il tutto avverrà più lentamente e con volumi inferiori. Non solo: in uno studio in cui hanno confrontato l’utilizzo di questi due processi produttivi per ottenere farine integrali, nella maggior parte dei casi la conservazione dei principi nutritivi è migliorata quando vengono utilizzati i rulli in acciaio.
Differenze significative ci sono invece fra una farina raffinata 00 e una integrale. Poiché la farina raffinata perde gli involucri più esterni che come abbiamo visto sono quelli più ricchi in vitamine, questa ne sarà povera, e differenza di quella integrale che ne avrà un contenuto superiore. Un’altra delle differenze è rappresentata nell’indice glicemico (la capacità di aumentare la glicemia). La farina più raffinata ha, infatti, un indice glicemico più alto rispetto a quella integrale, in virtù della minor presenza di fibra che rallenta l’assorbimento del glucosio (amido contenuto nella farina viene digerito in molecole più piccole come il glucosio). La presenza della fibra, inoltre, ci aiuta a raggiungere la quota di fibra che dovremmo assumere ogni giorno per mantenerci in salute. Le fibre però contengono, come visto in precedenza, fattori anti-nutrizionali che limitano l’assorbimento di alcuni nutrienti. Essendo inoltre la parte cruscale quella esterna, viene anche maggiormente a contatto con i trattamenti fitosanitari a cui la pianta è sottoposta, oltre che muffe e batteri. Quindi, quando parliamo di farina raffinata e integrale, non pensiamo che una sia il bene e l’altra il male (va ormai di moda definire la farina bianca come uno dei veleni bianchi), ma cerchiamo di comprenderne pregi e difetti di entrambe. Quindi massima attenzione alle strategiche operazioni di marketing che vi inducono a comprare una costosissima farina integrale macinata in uno splendido mulino a pietra magari anche alimentato da un grazioso torrente purissimo che passa da quelle parti ! Molto probabilmente è un abile strategia commerciale!
Bibliografia:
- IwonaKihlberg et al .Sensory qualities of whole wheat pan bread—influence of farming system, milling and baking technique . Journal of Cereal Science 2004
- Principi di chimica degli alimenti, Patrizia Cappelli e Vanna Vannucchi. Zanichelli 2015